franco berardi
2009-05-23 11:13:15 UTC
Quando qualcuno mi chiede qual è l’argomento del mio lavoro di ricerca
ho qualche difficoltà nel rispondere. Da trentacinque anni mi occupo
di movimenti sociali e comunicazione. Ho fatto qualche esperienza nel
campo della radio della televisione e della rete, ho letto molto e ho
scritto qualcosa su questo argomento, e ho fatto innumerevoli
conferenze nelle università di tutto il mondo. Però non direi che sono
un esperto, perché la cosa essenziale non la so. La finalità
essenziale della mia ricerca infatti è rispondere a una domanda: è
possibile una riattivazione del cervello collettivo in condizioni di
ciber-totalitarismo? E’ possibile la libertà di pensiero in
condizioni di saturazione mediatica del tempo di attenzione? E a
questa domanda, per il momento, non so come rispondere.
E’ una domanda complessa: le due espressioni che uso (“cervello
collettivo” e “totalitarismo mediatico”) attraversano diversi piani
concettuali: dalla sociologia della comunicazione all’estetica, dalla
neurofisiologia, all’antropologia alla politica.
Esiste davvero un cervello collettivo? Naturalmente no. Esiste la
sincronia di innumerevoli proiezioni immaginative. Esiste il punto di
intersezione di infinite derive psicodinamiche individuali. Esiste la
cooperazione produttiva di innumerevoli agenti cognitivi produttori di
segni che entrano nell’infosfera e innervano lo spazio sociale.
Con la metafora del cervello collettivo dunque intendo gli effetti
comuni sul piano produttivo, psichico e semiotico dell’attività
cognitiva della società.
E d’altra parte esiste davvero un ciber-totalitarismo? Anche questa è
un’espressione metaforica, se volete. Posso dirlo diversamente: lo
spazio della comunicazione sociale è sempre più occupato da flussi
mediatici, farmacologici, biotecnici finalizzati al controllo sul
comportamento mentale della massa dei produttori consumatori. Questa
occupazione, che tende a saturare il tempo di attenzione lo chiamo
ciber-totalitarismo.
Quest’espressione mi pare particolarmente adeguata alla situazione
italiana, perché in questo paese trent’anni di ininterrotta emulsione
televisiva hanno ridotto il cervello sociale una poltiglia informe che
reagisce agli stimoli dell’ambiente infosferico in maniera sempre più
automatica, conformista, talvolta aggressiva. La qualità del discorso
pubblico lo testimonia, ma ancor più lo testimonia l’epidemia
panico-depressiva che prelude probabilmente all’esplosione
nazi-psicotico o all’implosione suicidaria.
Torniamo alla domanda: quando l’ambiente infosferico è saturato da
flussi di segni che producono dipendenza può il cervello collettivo,
lungamente emulsionato da una sorta di veleno psico-mediatico
recuperare la sua lucidità, ricostruire i circuiti dell’empatia,
risvegliarsi, ricomporre la sua creatività? Insomma è possibile
autonomia entro le condizioni del neuro-comando?
Guardate, il problema politico del nostro tempo trova in queste
domande la sua chiave di volta, il suo alfa e il suo omega.
Ma io come faccio a rispondere?
Negli ultimi trent’anni ho partecipato a un movimento che si definisce
mediattivismo. A/traverso radio libere, televisioni pirata,
controinformazioni o azioni di detournamento semiotico, attraverso la
net culture e l’indymedia, questo movimento ha tentato la
riattivazione del cervello collettivo, della sua immaginazione e
capacità di giudizio.
C’è riuscito in taluni sporadici momenti, quando il senso comune è
parso tutt’a un tratto rovesciarci, come nei giorni di Seattle ’99 o
il 15 febbraio del 2003 NOWAR.
Ma non è mai riuscito a costruire uno spazio stabilmente maggioritario
di autonoma immaginazione sociale. La tendenza predominante resta
dominata dalla privatizzazione dell’esistenza in tutti i suoi aspetti,
e dalla dipendenza mediatica dell’attenzione della memoria e
dell’immaginazione.
Se si potesse compiere un’analisi quantitativa dei flussi che
investono ed irrorano l’Infosfera credo che le conclusioni sarebbero
sconsolanti. Il tempo di attenzione della mente sociale è
incredibilmente saturato da flussi di avvelenamento: disinformazione,
falsificazione, pubblicità, infantilizzazione, aggressività, razzismo,
manipolazione, ma soprattutto bombardamento neurale ininterrotto. In
questa l’emulsione il cervello collettivo si trova immerso. Ci
risveglia una frase pubblicitaria della radio, andiamo a prendere
l’autobus e ci vengono consegnati gratuitamente Metro e City, giornali
finti e veri contenitori pubblicitari il cui ruolo è quello di offrire
una semplificazione falsificata della realtà a lettori disattenti ma
permeabili. In stazione mentre aspetti il treno decine di schermi ti
bombardano con spot sorridenti e ordini perentori di acquisto. Al
lavoro ogni individuo viene isolato dall’altro per evitare che possano
circolare le esperienze reali di sofferenza. Ciascuno deve pensare di
essere l’unico a soffrire, l’unico a sentirsi schiacciato. Non sei che
uno sfigato, gli altri sono tutti più allegri di te come dimostra la
pubblicità. Quando ritorni iscatolato e solo nella tua auto, e fai
un’ora di coda sulla tangenziale il tuo cervello riceve lo stimolo di
cartelloni pubblicitari che ti invitano ad acquistare un’auto più
veloce. Infine arrivi a casa e stramazzi sulla poltrona per le quattro
ore di televisione quotidiana.
Come si può pensare che esista un margine di libertà per il pensiero,
come si può sperare che qualcosa cambi se non oggi domani? Ognuno è
solo, eppure il nostro cervello è affollatissimo di maschere
sghignazzanti urlanti o aggressive. Dovrei dunque concluderne che il
ciclo dell’evoluzione della razza umana si conclude qui, con la
generazione di mostri semi-coscienti appena capaci di eseguire
programmi il cui significato e la cui finalità sfuggono? Non posso,
semplicemente perché non ho ancora compiuto un esperimento di verifica
finale. Falsificazione, la chiama Karl Popper: per quanto una teoria
sia provata da innumerevoli fatti, non possiamo mai raggiungere la
certezza della sua validità, e un solo fatto in contrasto con la
teoria può dimostrare la sua falsità. Sono alla ricerca della prova
finale di una teoria (ancora tutta da costruire) sulla libertà (o
illibertà) dell’attività mentale in condizioni di saturazione
infosferica.
In questi giorni qualcosa si sta rompendo nel ciclo ciber-totalitario:
il collasso dell’economia globale produce una dissonanza cognitiva che
può diventare esplosiva. Certamente nei prossimi anni vivremo una
trasformazione traumatica delle forme di vita quotidiana. La caduta
dei consumi e della fiducia segnala il fatto che l’economia non è più
fulcro del desiderio collettivo. La depressione, disinvestimento
dell’energia dal circuito sociale sembra divenire una prospettiva
inevitabile. Forse in questa deriva diverrà inserire un flusso
semiotico (e politico) che modifichi la traiettoria della catastrofe
verso una percezione felice della decrescita. Ma come posso sapere che
un simile tentativo è realistico? Come posso sapere che non sto
tentando di sollevarmi da un fosso tirandomi per i capelli come fece
il Barone di Muchausen?
Ho dunque deciso di compiere un esperimento scientifico dal quale
ricaverò la mia verità finale (che sarà naturalmente soggetta ad
ulteriori verifiche ed eventuali smentite da parte di altri
ricercatori, più bravi di me o semplicemente più fortunati che nel
futuro potranno smentire le conclusioni cui io giungerò in un senso o
nell’altro). Il mio esperimento scientifico si chiama BOLOGNA CITTA’
LIBERA. Scelgo un luogo: la città di Bologna, e una scadenza, il 7
giugno 2009, giorno in cui si conosceranno i risultati delle elezioni
amministrative di quella città. Stabilisco dei criteri di verifica
quantificati in maniera precisa.
Il luogo è significativo. Bologna non è un villaggio sperduto, ma non
è neppure una grande metropoli. Gli elettori che costituiscono il
campione del mio esperimento sono all’incirca un quarto di un milione.
Inoltre questa città ha una tradizione di partecipazione culturale, se
pure un po’ in ribasso negli ultimi anni. Ha una università che un
tempo fu prestigiosa. Se in Italia esiste ancora un luogo in cui una
parte consistente della popolazione forma consapevolmente le sue
opinioni, dovrebbe essere Bologna. Le elezioni amministrative cadono
in un momento particolarmente significativo, per diverse ragioni.
Anzitutto perché la città ha subito negli ultimi cinque anni
l’aggressione congiunta del regime razzistoide berlusconiano che
impera sulla penisola e l’arrogante dispotismo di una mafia economica
denominata PD, rappresentata da un orrendo sindaco stalinistoide.
BOLOGNA CITTA’ LIBERA è nata dall’azione di coloro che si sono
ribellati a questa accoppiata di infamia, mentre la grande maggioranza
dei rappresentanti della sinistra, pur mugugnando, si è sempre
allineata ai contenuti liberisti e privatisti della dittatura
berlusconiana, sia allo stile stalinistoide del despota locale. Le
condizioni dunque sono tutte riunite per far nascere, in questo luogo
e in questo tempo una forma politica nuova. Se questo non accade, se
una percentuale consistente (la cui entità io stabilisco precisamente
secondo un criterio naturalmente soggettivo e discutibile, come sempre
sono i criteri di falsificazione che la scienza sociale stabilisce)
una percentuale consistente non aderisce alla proposta di contenuto e
di forma che BCL avanza, allora dovrò riconoscere che – almeno per
quanto mi riguarda, almeno nel tempo ormai breve che mi resta da
vivere, non ci sarà alcuna emergenza di autonomia sociale consapevole,
né alcuna forma di indipendenza del pensiero collettivo.
Questo è il senso dell’esperienza che sto vivendo da un anno, da
quando insieme a Valerio Monteventi e pochi altri compagni e compagne
che hanno resistito al conformismo, al clientelismo, all’aggressione
economica, abbiamo proposto di fare di Bologna un territorio di
autonomia dalla catastrofe sociale e culturale che il neoliberismo e
la media-dittatura hanno prodotto in Italia come e più che altrove. Un
esperimento scientifico che mi permetterà di cominciare un processo
politico e sociale adeguato alla complessità del nuovo secolo con
migliaia di altre persone, oppure mi permetterà di mettermi l’anima in
pace, attendere la morte in solitudine serena, e ringraziare iddio per
avermi concesso di vivere nei decenni dell'età mia nova l’ultimo
periodo in cui sul pianeta terra si manifestò una forma di vita che
poteva definirsi umana.
franco berardi
helsinki
2009-05-14
-------------------------------------------[ RK ]
+ http://liste.rekombinant.org/wws/subrequest/rekombinant
+ http://www.rekombinant.org
ho qualche difficoltà nel rispondere. Da trentacinque anni mi occupo
di movimenti sociali e comunicazione. Ho fatto qualche esperienza nel
campo della radio della televisione e della rete, ho letto molto e ho
scritto qualcosa su questo argomento, e ho fatto innumerevoli
conferenze nelle università di tutto il mondo. Però non direi che sono
un esperto, perché la cosa essenziale non la so. La finalità
essenziale della mia ricerca infatti è rispondere a una domanda: è
possibile una riattivazione del cervello collettivo in condizioni di
ciber-totalitarismo? E’ possibile la libertà di pensiero in
condizioni di saturazione mediatica del tempo di attenzione? E a
questa domanda, per il momento, non so come rispondere.
E’ una domanda complessa: le due espressioni che uso (“cervello
collettivo” e “totalitarismo mediatico”) attraversano diversi piani
concettuali: dalla sociologia della comunicazione all’estetica, dalla
neurofisiologia, all’antropologia alla politica.
Esiste davvero un cervello collettivo? Naturalmente no. Esiste la
sincronia di innumerevoli proiezioni immaginative. Esiste il punto di
intersezione di infinite derive psicodinamiche individuali. Esiste la
cooperazione produttiva di innumerevoli agenti cognitivi produttori di
segni che entrano nell’infosfera e innervano lo spazio sociale.
Con la metafora del cervello collettivo dunque intendo gli effetti
comuni sul piano produttivo, psichico e semiotico dell’attività
cognitiva della società.
E d’altra parte esiste davvero un ciber-totalitarismo? Anche questa è
un’espressione metaforica, se volete. Posso dirlo diversamente: lo
spazio della comunicazione sociale è sempre più occupato da flussi
mediatici, farmacologici, biotecnici finalizzati al controllo sul
comportamento mentale della massa dei produttori consumatori. Questa
occupazione, che tende a saturare il tempo di attenzione lo chiamo
ciber-totalitarismo.
Quest’espressione mi pare particolarmente adeguata alla situazione
italiana, perché in questo paese trent’anni di ininterrotta emulsione
televisiva hanno ridotto il cervello sociale una poltiglia informe che
reagisce agli stimoli dell’ambiente infosferico in maniera sempre più
automatica, conformista, talvolta aggressiva. La qualità del discorso
pubblico lo testimonia, ma ancor più lo testimonia l’epidemia
panico-depressiva che prelude probabilmente all’esplosione
nazi-psicotico o all’implosione suicidaria.
Torniamo alla domanda: quando l’ambiente infosferico è saturato da
flussi di segni che producono dipendenza può il cervello collettivo,
lungamente emulsionato da una sorta di veleno psico-mediatico
recuperare la sua lucidità, ricostruire i circuiti dell’empatia,
risvegliarsi, ricomporre la sua creatività? Insomma è possibile
autonomia entro le condizioni del neuro-comando?
Guardate, il problema politico del nostro tempo trova in queste
domande la sua chiave di volta, il suo alfa e il suo omega.
Ma io come faccio a rispondere?
Negli ultimi trent’anni ho partecipato a un movimento che si definisce
mediattivismo. A/traverso radio libere, televisioni pirata,
controinformazioni o azioni di detournamento semiotico, attraverso la
net culture e l’indymedia, questo movimento ha tentato la
riattivazione del cervello collettivo, della sua immaginazione e
capacità di giudizio.
C’è riuscito in taluni sporadici momenti, quando il senso comune è
parso tutt’a un tratto rovesciarci, come nei giorni di Seattle ’99 o
il 15 febbraio del 2003 NOWAR.
Ma non è mai riuscito a costruire uno spazio stabilmente maggioritario
di autonoma immaginazione sociale. La tendenza predominante resta
dominata dalla privatizzazione dell’esistenza in tutti i suoi aspetti,
e dalla dipendenza mediatica dell’attenzione della memoria e
dell’immaginazione.
Se si potesse compiere un’analisi quantitativa dei flussi che
investono ed irrorano l’Infosfera credo che le conclusioni sarebbero
sconsolanti. Il tempo di attenzione della mente sociale è
incredibilmente saturato da flussi di avvelenamento: disinformazione,
falsificazione, pubblicità, infantilizzazione, aggressività, razzismo,
manipolazione, ma soprattutto bombardamento neurale ininterrotto. In
questa l’emulsione il cervello collettivo si trova immerso. Ci
risveglia una frase pubblicitaria della radio, andiamo a prendere
l’autobus e ci vengono consegnati gratuitamente Metro e City, giornali
finti e veri contenitori pubblicitari il cui ruolo è quello di offrire
una semplificazione falsificata della realtà a lettori disattenti ma
permeabili. In stazione mentre aspetti il treno decine di schermi ti
bombardano con spot sorridenti e ordini perentori di acquisto. Al
lavoro ogni individuo viene isolato dall’altro per evitare che possano
circolare le esperienze reali di sofferenza. Ciascuno deve pensare di
essere l’unico a soffrire, l’unico a sentirsi schiacciato. Non sei che
uno sfigato, gli altri sono tutti più allegri di te come dimostra la
pubblicità. Quando ritorni iscatolato e solo nella tua auto, e fai
un’ora di coda sulla tangenziale il tuo cervello riceve lo stimolo di
cartelloni pubblicitari che ti invitano ad acquistare un’auto più
veloce. Infine arrivi a casa e stramazzi sulla poltrona per le quattro
ore di televisione quotidiana.
Come si può pensare che esista un margine di libertà per il pensiero,
come si può sperare che qualcosa cambi se non oggi domani? Ognuno è
solo, eppure il nostro cervello è affollatissimo di maschere
sghignazzanti urlanti o aggressive. Dovrei dunque concluderne che il
ciclo dell’evoluzione della razza umana si conclude qui, con la
generazione di mostri semi-coscienti appena capaci di eseguire
programmi il cui significato e la cui finalità sfuggono? Non posso,
semplicemente perché non ho ancora compiuto un esperimento di verifica
finale. Falsificazione, la chiama Karl Popper: per quanto una teoria
sia provata da innumerevoli fatti, non possiamo mai raggiungere la
certezza della sua validità, e un solo fatto in contrasto con la
teoria può dimostrare la sua falsità. Sono alla ricerca della prova
finale di una teoria (ancora tutta da costruire) sulla libertà (o
illibertà) dell’attività mentale in condizioni di saturazione
infosferica.
In questi giorni qualcosa si sta rompendo nel ciclo ciber-totalitario:
il collasso dell’economia globale produce una dissonanza cognitiva che
può diventare esplosiva. Certamente nei prossimi anni vivremo una
trasformazione traumatica delle forme di vita quotidiana. La caduta
dei consumi e della fiducia segnala il fatto che l’economia non è più
fulcro del desiderio collettivo. La depressione, disinvestimento
dell’energia dal circuito sociale sembra divenire una prospettiva
inevitabile. Forse in questa deriva diverrà inserire un flusso
semiotico (e politico) che modifichi la traiettoria della catastrofe
verso una percezione felice della decrescita. Ma come posso sapere che
un simile tentativo è realistico? Come posso sapere che non sto
tentando di sollevarmi da un fosso tirandomi per i capelli come fece
il Barone di Muchausen?
Ho dunque deciso di compiere un esperimento scientifico dal quale
ricaverò la mia verità finale (che sarà naturalmente soggetta ad
ulteriori verifiche ed eventuali smentite da parte di altri
ricercatori, più bravi di me o semplicemente più fortunati che nel
futuro potranno smentire le conclusioni cui io giungerò in un senso o
nell’altro). Il mio esperimento scientifico si chiama BOLOGNA CITTA’
LIBERA. Scelgo un luogo: la città di Bologna, e una scadenza, il 7
giugno 2009, giorno in cui si conosceranno i risultati delle elezioni
amministrative di quella città. Stabilisco dei criteri di verifica
quantificati in maniera precisa.
Il luogo è significativo. Bologna non è un villaggio sperduto, ma non
è neppure una grande metropoli. Gli elettori che costituiscono il
campione del mio esperimento sono all’incirca un quarto di un milione.
Inoltre questa città ha una tradizione di partecipazione culturale, se
pure un po’ in ribasso negli ultimi anni. Ha una università che un
tempo fu prestigiosa. Se in Italia esiste ancora un luogo in cui una
parte consistente della popolazione forma consapevolmente le sue
opinioni, dovrebbe essere Bologna. Le elezioni amministrative cadono
in un momento particolarmente significativo, per diverse ragioni.
Anzitutto perché la città ha subito negli ultimi cinque anni
l’aggressione congiunta del regime razzistoide berlusconiano che
impera sulla penisola e l’arrogante dispotismo di una mafia economica
denominata PD, rappresentata da un orrendo sindaco stalinistoide.
BOLOGNA CITTA’ LIBERA è nata dall’azione di coloro che si sono
ribellati a questa accoppiata di infamia, mentre la grande maggioranza
dei rappresentanti della sinistra, pur mugugnando, si è sempre
allineata ai contenuti liberisti e privatisti della dittatura
berlusconiana, sia allo stile stalinistoide del despota locale. Le
condizioni dunque sono tutte riunite per far nascere, in questo luogo
e in questo tempo una forma politica nuova. Se questo non accade, se
una percentuale consistente (la cui entità io stabilisco precisamente
secondo un criterio naturalmente soggettivo e discutibile, come sempre
sono i criteri di falsificazione che la scienza sociale stabilisce)
una percentuale consistente non aderisce alla proposta di contenuto e
di forma che BCL avanza, allora dovrò riconoscere che – almeno per
quanto mi riguarda, almeno nel tempo ormai breve che mi resta da
vivere, non ci sarà alcuna emergenza di autonomia sociale consapevole,
né alcuna forma di indipendenza del pensiero collettivo.
Questo è il senso dell’esperienza che sto vivendo da un anno, da
quando insieme a Valerio Monteventi e pochi altri compagni e compagne
che hanno resistito al conformismo, al clientelismo, all’aggressione
economica, abbiamo proposto di fare di Bologna un territorio di
autonomia dalla catastrofe sociale e culturale che il neoliberismo e
la media-dittatura hanno prodotto in Italia come e più che altrove. Un
esperimento scientifico che mi permetterà di cominciare un processo
politico e sociale adeguato alla complessità del nuovo secolo con
migliaia di altre persone, oppure mi permetterà di mettermi l’anima in
pace, attendere la morte in solitudine serena, e ringraziare iddio per
avermi concesso di vivere nei decenni dell'età mia nova l’ultimo
periodo in cui sul pianeta terra si manifestò una forma di vita che
poteva definirsi umana.
franco berardi
helsinki
2009-05-14
-------------------------------------------[ RK ]
+ http://liste.rekombinant.org/wws/subrequest/rekombinant
+ http://www.rekombinant.org